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Archivi tag: Trieste

Putizza

24 sabato Mar 2018

Posted by Tamara Sandrin in Dolci, Dolci friulani, Invito a cena senza delitto, Vegan-in-friuli

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Tag

burro di soia, Carso, Dolci friulani, dolci tipici, nocciole, pasqua, putizza, ricetta tipica, Trieste, vegan

Dolce pasquale tipico di Trieste e del Carso nella mia versione vegan.

Ingredienti:
pasta per pinza (circa 500/600 gr)
50 gr di nocciole tostate
50 gr di noci
50 gr di zucchero di canna
50 gr di uvetta
50 gr di burro di soia
50 gr di pangrattato
50 gr di cioccolato fondente
la buccia grattugiata di un’arancia
un bicchierino di rum

Procedimento:
Preparare la pasta per la pinza.
Il giorno dopo preparare il ripieno: mettere l’uvetta in ammollo nel rum, tritare noci e nocciole, sciogliere il cioccolato a bagnomaria e, infine, in un pentolino rosolare il pangrattato nel burro di soia. Raccogliere tutti gli ingredienti per il ripieno in una terrina: noci e nocciole tritate, zucchero, pangrattato rosolato nel burro di soia, uvetta con tutto il rum, buccia d’arancia grattugiata, cioccolato sciolto a bagnomaria. Amalgamare bene aggiungendo poca acqua per ottenere un impasto morbido.
Stendere la pasta, preparata il giorno prima, abbastanza sottile (circa mezzo centimetro) e distriburci uniformemente il ripieno tagliando eventualmente l’eccesso di pasta (con cui si possono preparare
piccole pinze o titole).
Arrotolare bene e adagiare il dolce sulla leccarda del forno dandogli la forma di una coroncina. Lasciar lievitare per una mezz’oretta circa. Nel frattempo preriscaldate bene il forno. Al momento di infornare spennellare la putizza con un po’ di latte vegetale. Cuocere il dolce per 30 minuti a 125°, poi aumentare a 150° e terminare la cottura per altri 25/30 minuti. Controllare la cottura con uno stecchino di legno, poi sfornare e far raffreddare la putizza su una gratella.

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Un breve colloquio con il dott. Franco Rotelli

23 martedì Ago 2016

Posted by Tamara Sandrin in il gabinetto del dottor Codermatz

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Tag

animalismo, antipsichiatria, antispecismo, Franco Basaglia, Franco Rotelli, Gorizia, legge 180/1978, liberazione animale, manicomi, Peter Singer, riforma psichiatrica, Rodrigo Codermatz, Trieste

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“La sofferenza animale non può di certo portare alcun bene all’uomo: coraggio andate avanti con la vostra opera di sensibilizzazione; portate avanti ciò che noi abbiamo iniziato!”

 

di Rodrigo Codermatz

Spesso risalendo un po’ la china di quelle esperienze artistiche e di pensiero che, opponendosi all’istituzione, alla tradizione e alla cultura hanno messo a nudo la sofferenza, lo sfruttamento, il dolore, la fatticità stessa dell’uomo, la Tatsächlichkeit come direbbe l’esistenzialismo, ho incontrato alcune menti e personalità di profonda e notevole sensibilità e compassione, di autentico spirito libero e mi son chiesto come la loro forza, il loro entusiasmo, la loro energia e onestà non abbiano saputo, nella maggior parte delle volte, superare il confine della specie e iniziare una lotta per la liberazione interspecifica.

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Uno di questi grandi passi della liberazione umana, della conquista della dignità della persona umana è senz’altro l’esperienza anti-psichiatrica dell’equipe del dottor Franco Basaglia iniziata, come si sa, all’ospedale psichiatrico di Gorizia, che ha portato attraverso la trasformazione e la chiusura dell’ospedale psichiatrico di Trieste alla Riforma Psichiatrica in Italia con la legge180/1978.

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Di recente, durante un colloquio telefonico con lo psichiatra Franco Rotelli1, uno dei principali collaboratori di Franco Basaglia e protagonisti della Riforma, ho avuto modo di esprimere questa mia perplessità, di verificare se veramente allora, in quell’esperienza, non si fosse arrivati in qualche modo alla soglia della dimensione interspecifica, se non si fosse trattato solamente di effettuare il “salto”. Eppure, in quegli anni Peter Singer scriveva Liberazione animale!
Vorrei qui riportare un brevissimo scorcio di questo colloquio del tutto occasionale e informale col dottor Rotelli: la sua esperienza libertaria, Rotelli riprende il motto “tutto ciò che apre ci sta bene”, è ormai una responsabilità storica ed etica per le generazioni a venire nella lotta contro ogni forma di sofferenza e sopraffazione.
Penso quindi che queste sue poche parole, possano senz’altro infondere grande forza ed energia, coraggio ed entusiasmo a chi, come me, crede importante ciò che la riforma psichiatrica a suo tempo ha fatto contro la sofferenza e per la dignità umana e allo stesso tempo guarda ora alla liberazione animale.

D. Dottor Rotelli, lei è stato un importante protagonista assieme a Basaglia nella lotta per il riconoscimento di inalienabili diritti umani, della dignità e libertà umana e per l’abolizione di strutture e strumenti istituzionali di detenzione e contenzione.
Il vostro operato che continua tutt’ora nel suo infaticabile impegno costituisce oggi un’importante eredità e patrimonio per ripensare concetti come sfruttamento, sopraffazione, prigionia, detenzione, reclusione da una parte e libertà, rispetto, riconoscimento e liberazione, dall’altra, per ripensare l’istituzionalizzazione e la metabolizzazione sociale ed economica dello sfruttamento del più debole e indifeso, del meno fortunato, del “diverso” sia esso animale umano che non umano.
Oggi l’antispecismo condanna il predominio dell’uomo sulle altre specie animali e lotta per la loro liberazione: vede, inoltre, in questa lotta una conditio sine qua non per la libertà umana riconoscendo storicamente l’allevamento come origine della prigionia.
Io, personalmente, guardo un po’ a voi come antesignani di questo lungo e sempre arduo cammino e percorso di “apertura” di porte e abbattimento di muri che ha liberato l’uomo dalla “bestialità” ma che dovrebbe continuare oggi liberando l’animale dall’umanità aprendo le gabbie, gli allevamenti, gli zoo, i circhi etc.
È urgente un ripensamento del nostro rapporto con le altre specie animali, riconoscere la logica violenta e di sopraffazione del sistema economico e politico che lo gestisce spacciandolo per tradizione e cultura, per normalità e necessità.
Vorrei chiederle: Liberazione animale di Peter Singer e la legge 180 sono quasi contemporanei: allora non avete mai considerato o pensato alla liberazione animale? Ed ora, lei, che ne pensa?

R. No, non siamo stati abbastanza sensibili: non abbiamo avuto modo di riflettere su questa questione; io personalmente non me ne sono mai occupato e, che sappia, neanche i miei colleghi di allora.
Sono totalmente disinformato circa l’antispecismo e non saprei neanche cosa dire in merito se non, che è assolutamente giusto e necessario agire contro la sofferenza animale; sono stato sempre molto sensibile alle diverse forme di sofferenza: ho cercato sempre di interessarmici e di lottare per contrastarle, di “buttare sempre un occhio” ai soggetti che soffrono. Per questo mi piacerebbe saperne di più e leggere qualcosa in merito.
Nessuno sa definire con certezza in cosa consista la differenza tra animale umano e animale non umano: ma abbiamo una certezza, che anche gli animali soffrono.
Perciò non può che essere assolutamente giusto e obbligato un impegno che miri a sensibilizzare la società circa le sofferenze delle altre specie animali, che combatta ogni forma di sofferenza dell’animale non umano.

D. Io ho sempre un forte dubbio sulla maniera di informare: dire o mostrare? Parola o immagine? Ma soprattutto usare o no l’immagine cruenta per informare? Che impatto può avere sulla mente di chi può sentirsi colpevolizzato?

R. È assolutamente giusto e doveroso “mostrare” e raccontare la realtà: la gente si sta abituando a vedere di tutto: più terrore c’è sulla scena più la platea si mette tranquilla; più che altro bisogna stare attenti che anche queste immagini reali non finiscano poi per essere strumentalizzate, pena l’annullamento totale del messaggio. Ci vuole molta accortezza, senso critico ed equilibrio. Ma la verità dev’essere mostrata.

D. “La libertà è terapeutica”. La liberazione animale potrebbe divenire cura, soluzione per molte incongruenze, discrepanze e dicotomie della nostra società, in senso etico e sociale?

R. La sofferenza animale non può di certo portare alcun bene all’uomo e alla cultura: e come potrebbe con le scene che purtroppo siamo soliti vedere?
È giusto combattere contro la sofferenza e lo sfruttamento animale: coraggio andate avanti con la vostra opera di sensibilizzazione; portate avanti ciò che noi abbiamo iniziato!

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Una eredità generazionale, una consegna di insegne belliche, un credito reciproco che, temo, si disperda cammin facendo semplicemente perché non siamo più capaci di abbattere realmente i muri e divellere inferriate, non siamo più così integri e forti da poter respingere le “cose cattive e non vere” che il sistema ci insegna: la protesta pacifica è il risultato di questo discredito, di questo dialogo interrotto tra l’ariete che ha aperto la strada e chi dovrebbe ora irrompere, è la museruola che ancora una volta lo stato e la società stessa ci obbligano a portare per non mordere.

1Subentrato, nel 1979, a Basaglia nella direzione dell’Ospedale Psichiatrico passò poi, con il suo superamento, a dirigere il sistema dei servizi psichiatrici sostitutivi della provincia di Trieste fino al 1995. Dal 1998 al 2001 è stato direttore generale dell’Azienda Sanitaria di Trieste, poi di Caserta dal 2001 al 2004 e di nuovo di Trieste dal 2004 al 2010. Nel 2013 è stato eletto Consigliere regionale e Presidente della Commissione Sanità e Politiche Sociali della Regione Friuli Venezia-Giulia.

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Pinze e titole

17 giovedì Mar 2016

Posted by Tamara Sandrin in Dolci friulani, Invito a cena senza delitto, Vegan-in-friuli

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Tag

bisiacaria, dolce, Istria, pasqua, pinza, presnitz, putizza, titola, Trieste

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La pinza è il pandolce pasquale più diffuso dall’Istria alla bisiacaria (la zona compresa tra l’Isonzo e le foci del Timavo, dove si parla appunto il bisiaco). Viene ancora oggi prodotta in modo quasi esclusivamente artigianale, ma è abbastanza rara la produzione casalinga – a differenza di un tempo quando la produzione delle pinze era un “punto d’onore” per ogni massaia. Secondo la tradizione la pinza è una componente essenziale della merenda di pasquetta. Con lo stesso impasto della pinza si confezionano anche le titole, ovvero “colombine”, treccine di pasta decorate da un uovo sodo rosso, che noi ovviamente sostituiamo con una pallina di pasta colorata e ripiena. L’origine e il significato della titola sono controversi: le titole possono essere collegate alla tradizione pasquale greco-ortodossa, le treccine potrebbero simboleggiare i chiodi e l’uovo rosso i sassi del Calvario macchiati dal sangue di Gesù e, secondo questa interpretazione, anche gli altri dolci pasquali triestini sarebbero altri simboli della passione di Gesù: la putizza (o il presnitz) rappresenterebbe la corona di spine e la pinza sarebbe la spugna imbevuta d’aceto.
La forma più antica ricorda una croce celtica. L’origine del nome potrebbe derivare da titus (colombo selvatico) che ricollegherebbe le titole alla tradizione lombarda/longobarda dei pani festivi a forma di volatile e, in effetti, la titola a Trieste veniva chiamata “pan de Milan”, oppure da titulus (basso latino: ciuffetto o treccina) che indicherebbe semplicemente la sua forma.

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Ingredienti per la pinza:
200 ml di latte di soia
150 ml di acqua
750 gr di farina di tipo 2
150 gr di burro di soia
4/5 cucchiai di zucchero
2 cucchiaini di sale
vaniglia
le bucce grattugiate di un limone e di un’arancia
1 cucchiaio e mezzo di pasta madre liquida (o li.co.li.)
Continua a leggere →

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