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altro, animale, antispecismo, cinema, colpa, Ermanno Olmi, fatalità, film, responsabilità, Rodrigo Codermatz, specismo, Un certo giorno
di Rodrigo Codermatz
Ho rivisto recentemente un vecchio film di Ermanno Olmi, Un certo giorno 1 del 1968, e penso che offra più di uno spunto per una riflessione sul significato di responsabilità e colpa.
Le considerazioni che il film apre sono di un’attualità e universalità drammatiche in una società come la nostra dove il debole e il diverso di ogni specie animale è sospinto nell’invisibilità.
Protagonista del film è un pubblicitario: Olmi, che per girare il film frequentò e osservò per mesi l’attività quotidiana di un’agenzia pubblicitaria milanese, fa un ritratto completo dell’ambiente pubblicitario di quegli anni subito dopo il boom economico; anni in cui era più che mai necessario aprire nuove vie di mercato e investire sull’immagine pubblicitaria nel promuovere il prodotto commerciale.
Un ambiente e un mondo basati sul tempismo, sul cronometrico concatenarsi di orari, appuntamenti, riunioni e scadenze dove la persona, l’individuo, in una società (quella degli anni Sessanta) ormai massificata, è ridotta a mero consumatore (si pensi all’analisi psicologica della casalinga che viene presentata alla riunione) da riprodurre in laboratorio e dissezionarne le dinamiche psicologiche e i desideri più profondi, ad un essere da addomesticare e assuefare alla richiesta di sempre nuovi comfort e migliorie nel prodotto di consumo, da tenere al guinzaglio (sono emblematici in tal senso i gioghi che vediamo appesi alle pareti).
Un mondo dove qualsiasi rapporto interpersonale è pura formalità, cortesia, convenienza, diplomazia, vendita di se stessi (per esempio quando Bruno, il protagonista, chiede a Friedman come stanno i figli).
Tempi e priorità calzanti che devastano, risucchiano, assorbono, annientano totalmente le vite private di questi pubblicisti che hanno sempre meno tempo per la famiglia, la casa di campagna, il riposo e nelle cui vite anche le amanti occasionali sono parte integrante del lavoro o “premi produzione”.
Fuori dal mondo del lavoro non esistono che schermi totalmente bianchi come quelli che il proiettore della riunione dimostrativa apre tra una diapositiva e l’altra e che segnano come un metronomo il collasso di Davoli, amministratore delegato dell’agenzia pubblicitaria e diretto superiore di Bruno, che dovrà ritrovarsi in punto di morte per poter finalmente vedere la sua vita in un rapido flash back di immagini di un passato che aveva dimenticato da tempo: e la scelta di vedere, come dice Davoli, è una nostra inalienabile responsabilità.
Il protagonista sembra a volte quasi rendersi conto della dimensione disumana e alienata che il suo lavoro gli crea attorno: un’atrofizzazione completa del rapporto empatico con l’altro e col mondo; ma la definitiva messa a riposo del suo superiore per motivi di salute e la sua conseguente nomina a sostituirlo in un’importante posizione di responsabilità, lo ancorano e lo rigettano in quella realtà tanto da intavolare un suo personale progetto in cui vengono riassorbiti anche i vicini della sua casa di campagna che sono ora ai suoi occhi il 51 % di una delle più grosse società alimentari italiane, sono solo una percentuale.
Si allontana così da quella possibilità contemplativa, quella possibilità di aprire un rapporto autentico con la realtà che lo circonda, dalla visione che si trattiene presso l’altro, possibilità rappresentata dal suo dipendente bohemien che denuncia tra l’altro l’invecchiamento dell’immagine e dell’arte figurativa e la sua oramai mera funzione commerciale e ornamentale quado afferma “come santi non li vuole più nessuno così, invece, come oggetti da boutique vanno moltissimo” e “mi sembra maledettamente vecchio dipingere per dire delle cose”.
In questa fuga del “vissuto”, del tempo autentico, c’è sia in Bruno che in Davoli un tentativo di recupero di visione rispettivamente nell’acquisto della casa nella terra dei nonni, e nel flash back della sua vita: la casa e le immagini parlano dell’infanzia.
Ma improvvisamente accade l’inatteso. Continua a leggere