Vetrina di un ristorante friulano (foto Rodrigo Codermatz)
di Tamara Sandrin
Braccati, inseguiti, uccisi
E poi, il corpo straziato,
offesi e derisi
in fissità innaturali
e stereotipi umani.
No, la morte non basta.
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12 domenica Mag 2019
Posted La poesia mangia l'anima
in15 domenica Gen 2017
di Tamara Sandrin
L’approvazione della legge sul disturbo venatorio apre uno scenario nuovo e inquietante sia dal punto di vista pratico che etico e dei diritti minimi del cittadino perché, di fatto, questa aberrante legge limita la libertà di azione e movimento di chiunque non sia un cacciatore e non faccia parte della banda armata. Inoltre costituisce un pericoloso precedente che, verosimilmente, potrebbe essere copiato in altre regioni.
A prima vista, a occhi giuridicamente inesperti come i miei, la legge sembra inapplicabile, ma dato che i beneficiari sono i cacciatori – che ben sappiamo capaci di qualsiasi cosa – è proprio la difficoltà della sua applicazione che spaventa.
Facciamo un esempio: sono un escursionista, un ciclista, un podista, ecc. (non parlo volontariamente di animalisti) e vado a fare un giretto in bosco o in campagna, posso stare in silenzio o cantare o gridare; incontro un cacciatore che ritiene che lo sto disturbando. Ovviamente nessun rappresentante degli organi preposti a svolgere le funzioni di polizia è presente in quel momento per poter accertare e contestarmi la violazione, come previsto da un comma della legge. Perciò, in teoria, io me ne posso andare, allontanandomi prima che arrivino i carabinieri, sempre che il cacciatore li chiami.
Da questo esempio nascono una serie di quesiti.
Innanzitutto mi chiedo, viste le premesse, chi decide sulla veridicità e sull’entità del presunto disturbo? Il cacciatore stesso? Senza dover fornire altra prova che la sua testimonianza alle autorità preposte? Come dicevo i carabinieri, o chi per loro, possono giungere solo in un secondo momento sul “luogo del delitto” e quindi non possono sicuramente essere in grado di accertare la violazione.
Poi mi chiedo se, come accennavo nell’esempio, io me ne voglio andare, posso rifiutarmi di fornire le mie generalità al cacciatore per la denuncia? Il cacciatore può impedire, legalmente, che io mi allontani? E qui nasce il problema più grave: il cacciatore non è un semplice cittadino, che può – se ci riesce – arrestare un reo in flagranza di reato (reato penale, non violazione amministrativa!), ma è un uomo armato che può facilmente usare la forza minacciosa del suo fucile.
La mia impressione, dunque, è che con questa legge si cerchi di rendere la lobby dei cacciatori alla stregua di un’arma della regione Veneto. Aldilà di quanto preveda la legge, è facile immaginare cosa si sentiranno legittimati a fare da oggi in poi questi individui, che già finora si sono rivelati tanto pericolosi, e come verranno poi scagionati e decolpevolizzati.
Alla luce di queste ultime considerazioni, ritengo che l’aspetto più spaventoso resti il fatto che questa sia una legge del terrore, che porterà i cittadini ad autocensurarsi per la paura; non è una legge ma una minaccia tirannica al pari della legge marziale: allo scattare del coprifuoco chiunque si trovi in zona di caccia potrà essere fucilato sul posto!
Ma nonostante tutto la lotta antispecista alla caccia non può fermarsi: deve trovare e praticare altre strade, che non incrocino quelle già battute dai cacciatori, che non portino a incontrarli faccia a faccia, ma a prenderli alle spalle.
03 sabato Dic 2016
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animalismo, antispecismo, attivismo, caccia, chiesa, papa, religione, sacrifici animali, Tamara Sandrin
di Tamara Sandrin
In questi giorni ho letto sui social e sul web dello stupore animalista per la scoperta dell’esistenza di preti cacciatori. Questo stupore nasce, a mio avviso, dalla dimenticanza della storia delle religioni in genere, della chiesa e del cristianesimo, che, al pari di molte altre, si è sempre configurata come una religione bionegativa e ostile alla vita.
In tutte le religioni (buddhismo compreso) e in tutti i tempi, sono esistiti (ed esistono tuttora) i sacrifici animali; gli officianti, i sacerdoti, quasi sempre coincidevano con i boia, i macellai: nella Grecia classica, per esempio, culla della nostra civiltà, i templi erano dei veri e propri mattatoi che operavano a pieno ritmo, dato che il consumo di carne era strettamente e religiosamente regolato, ma non moderato. Ancora oggi nelle civiltà rurali e persino nelle realtà contadine dei nostri “civilissimi” paesi, sopravvivono questi sacrifici in onore di santi, patroni e /o festività religiose varie (anche non strettamente cristiane, ricordiamo a esempio i festeggiamenti agresti per la fine della mietitura, della vendemmia, ecc., che hanno sicuramente una radice pagana), dove il sacerdote è sempre presente pur non coincidendo più con l’esecutore materiale dell’assassinio, dello squartamento e della dissezione della vittima. Oggi come allora al sacerdote è riservata la parte migliore e il posto d’onore nella mensa “sacra” e conviviale: spesso è proprio la tavola imbandita il luogo dove si rivelano le prime gerarchie sociali, familiari e parentali. Possiamo ricordare ancora i banchetti nuziali o quelli funebri o il sacrificio animale per eccellenza in ambito cristiano, la pasqua, dove l’agnello non viene più sgozzato sull’altare della chiesa, ma vi è un invito figurato pressante e continuo a farlo nel chiuso del mattatoio, per poi consumarne le carni nell’allegria della festa familiare.
In quest’ottica, perciò, non c’è da stupirsi di trovare preti cacciatori, grassi e “buongustai”; è piuttosto stupefacente invece incontrare preti sensibili alla questione animale, quasi impossibile trovarne anche uno solo antispecista e vegano (ricordiamo che neppure san Francesco, istituito come protettore degli animali, era vegetariano).
Se, per chi crede in quel baraccone che è la chiesa, può sembrare legittimo porre delle istanze, chiedere agli alti ranghi ecclesiastici che quei preti cacciatori siano rimossi dal loro ruolo, per un antispecista, invece, è assurdo cercare di confrontarsi, chiedere udienza e aiuto a tale istituzione, che si fonda sempre e comunque su una gerarchia che pone gli animali molto al di sotto dei suoi gradini più bassi (come d’altronde tutte le istituzioni umane).
Perciò l’iniziativa di quegli attivisti che hanno tappezzato un paese con manifestini in cui intimavano al parroco di confessarsi appare ingenua quanto risibile: in questo caso altre azioni sarebbero state più consone e utili.
Come, altresì, appaiono ingenui e risibili gli entusiasmi animalisti per un papa che rinuncia all’ermellino per raccontare poi dei suoi sogni infantili di diventare macellaio (e questo coincide con quanto detto sopra) o che promulga un’enciclica come “Laudato sii” che appare, al punto in cui ci troviamo, troppo tardiva per redimere secoli di conduzione politica della chiesa antropocentrica e repressiva, rivelandosi invece come un’ottima azione di marketing per tirare a lustro un’immagine del papato ormai opaca.
L’antispecismo, come dicevo, non dovrebbe misurarsi con queste istituzioni, religiose e laiche, politiche ed economiche, perché “sono varietà dell’assolutismo” in quanto fanno della gerarchia e del dominio del forte sul debole le loro fondamenta e tendono sempre alla conquista del potere.
La liberazione animale dovrebbe intraprendere altri percorsi, altre strade, che portino alla liberazione totale, fisica e intellettuale, a una libertà sovrana, creativa e responsabile dove non sia più necessario “levarsi il cappello” e inchinarsi chiedendo compermesso.
08 lunedì Ago 2016
Vita dura per un antispecista di campagna
di Tamara Sandrin
Basta un passo oltre il portone di CaVegan e tutto cambia, entro in una dimensione deformata, che mi stringe, mi soffoca.
Fuori fa più caldo, persino l’odore dell’aria è diverso.
E mi rendo conto che vivo in una gabbia e mi chiedo: mi ci sono rinchiusa da sola?
No, assolutamente! Sono stata rinchiusa dall’indifferenza, dalla mancanza di empatia e di razionalità, da una cultura imperialistica e antropocentrica che si è impossessata di tutto lo spazio delle campagne e dei boschi, dei paesi, delle vie cittadine, delle scuole, delle biblioteche, dei porti e dell’aria.
Oggi hanno liberato i fagiani: li hanno portati con un camion telonato pieno di cassette di plastica. Non erano chiusi in gabbia ma stipati in cassette come merci.
Sul camion hanno avuto la sfrontatezza di scriverci:
ATTENZIONE ANIMALI VIVI.
Li ho guardati volare via, piccoli giovani fagiani e fagiane, in un’illusione di libertà e ho avuto la certezza che no, non erano vivi.
Sono animali già morti che possono sognare al massimo un paio di mesi prima di provare paura e dolore.
Sulla strada del ritorno, col cuore gonfio di rabbia e disgusto osservo la campagna che mi circonda: mais, soia, qualche orto, un vecchio allevamento abbandonato, boschi, l’argine fitto di canneti, un ristorante, casolari e fattorie.
Se ci penso tutto mi parla di dolore: in ogni casa ci sono oche e galline, conigli, maiali, lungo i fossi trappole per le nutrie, nel bosco ci sono le altane dei cacciatori, i loro nascondigli. Sento i colpi, forti, cadenzati e continui dei cannoni dissuasori, per allontanare gli uccelli dai campi e dalle vigne.
Tutto in campagna mi parla di specismo e violenza.
Mi chiedo se chi vive in città si renda conto di tutto questo dolore, di questo sfruttamento, di questa “normalità”.
Mi chiedo se riesca a percepire la nostra impotenza: possiamo combattere un nemico lontano, sconosciuto, virtuale, ma se i nemici reali ci accerchiano non abbiamo scampo. Facciamo ciò che dobbiamo fare. Ci proviamo.
Non possiamo distruggere tutte le gabbie e liberare tutti gli animali: i tacchini alla sera torneranno spontaneamente nel loro recinto, i fagiani cercheranno il cibo dalla mano di chi a breve li ucciderà, il maiale non uscirà mai dal suo casotto buio, se non per morire sull’aia…
Mi chiedo se un antispecista di città riesca a immaginare questa situazione; mi chiedo se conosca la paura di subire ritorsioni dopo le minacce; mi chiedo se tremi a ogni ritardo dei gatti.
Mi si dirà che la situazione delle campagne è una goccia nel mare dello sfruttamento animale, ed è vero, ma per chi vive in campagna è un continuo confrontarsi con una realtà che per molti è solo virtuale.
Oggi la passeggiata è andata così, un po’ triste, persa in queste riflessioni.
Sono quasi a casa, Gloria e Greta mi trascinano piene di gioia ed energia, non condividono i miei pensieri, sono solo più eccitate del solito. Vorrebbero solo essere libere e rincorrere quei piccoli fagiani, e i piccioni, i tordi e le anatre. E, magari, prenderne qualcuno.
Mi chiudo alle spalle il portone di CaVegan, sbarre dorate di una gabbia protettiva che mi difende dal mondo specista.
*“Torna nella tua gabbia dorata, Melania Hamilton!”, Gli uccelli, regia di Alfred Hitchcock, 1963
17 domenica Lug 2016
Posted Libri e pubblicazioni
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Animalisti FVG, caccia, Daniela Galeota, fiere ornitologico-venatorie, Nosagraosei.org, Rodrigo Codermatz, Sacile, Volare!
di Rodrigo Codermatz
Ieri, a Martignacco, abbiamo assistito con grande emozione alla prima “uscita in pubblico” del libro Volare! curato da Animalisti FVG, importante testimonianza di una lunga e sempre più serrata lotta contro la Sagra dei Osei di Sacile quale simbolo, per la sua pluricentenaria nefandezza, di ogni fiera e mercato venatorio e ornitologico. Grande emozione nel vedere le immagini e i documenti dell’attività di denuncia che, nata negli anni Ottanta, continua ogni anno grazie alla perseveranza e all’impegno degli attivisti con banchetti, presidi, cortei e contromanifesti; grande emozione nella voce della presentatrice e presidente dell’associazione Animalisti FVG Daniela Galeota che ha saputo magistralmente coinvolgere un uditorio di fatto eterogeneo e in parte anche nuovo ed estraneo all’argomento e alla problematica.
Il libro, un’autopubblicazione, che porta in copertina il contromanifesto all’edizione di quest’anno, si apre spiegando cos’è una fiera ornitologico-venatoria e svelando il mondo crudele e occulto delle “gare canore” e la prigionia degli uccelli da richiamo. Corredato da un’interessante documentazione fotografica traccia quindi un breve excursus storico del movimento riproponendo anche gli articoli giornalistici più importanti nell’aver testimoniato e segnato il suo percorso.
Tutto questo a introdurre l’interessante e importantissimo contributo di una trentina di autori che in altrettanti articoli hanno espresso la loro condanna alla pluricentenaria ecatombe ognuno dal suo particolare punto di vista e con la sua competenza: antropologi, etologi, artisti, poeti, psicologici, filosofi, veterinari e attivisti testimoniano con toccante profondità e obiettività l’assurdità, la violenza, la crudeltà di questa tradizione che, moralmente ed eticamente, non può più essere accettata né tollerata ma che le principali istituzioni politiche continuano a proteggere per l’interesse meramente economico di allevatori e mondo venatorio. Istituzioni politiche che si chiudono in una sempre più disonesta e subdola presa di posizione contro la denuncia del movimento animalista rasentando l’illegalità e mettendo in atto vere e proprie azioni dissuasorie e repressive violando il diritto di espressione e di libero pensiero.
Alla eco unidimensionale, superficiale, tautologica e culturalmente arretrata degli organizzatori e sostenitori della fiera, alla loro povertà intellettuale e spirituale risponde Volare! coro unanime di denuncia, testimone unico di un pensiero volto a ripensare la nostra società nell’ottica di evolvere il nostro rapporto e considerazione dell’altro animale.
Il libro è in vendita presso le librerie Al Segno o richiedendolo direttamente all’associazione Animalisti FVG e il ricavato sarà destinato al rafforzamento della campagna e del movimento NoSagraOsei.
06 sabato Feb 2016
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Adamas, Animalisti FVG, caccia, cinghiali, Green Hill, legge Cremaschi, Rodrigo Codermatz, stagione venatoria, Tamara Sandrin, Toscana
di Tamara Sandrin e Rodrigo Codermatz
Riproponiamo questo articolo scritto alcuni mesi fa perché domenica scorsa si è chiusa la stagione venatoria, ma molti non sanno che possiamo stare tranquilli solo fino al 15 maggio, quando si riapre la caccia al cinghiale e poi via via ad altri animali, per cacciare – alla fin fine – quasi tutto l’anno. Questo il calendario venatorio del Friuli Venezia Giulia, ma pensiamo che la situazione sia più o meno la stessa anche in altre regioni, senza contare la situazione ancora peggiore della Toscana dove è stata appena approvata la legge Cremaschi, giustamente ribattezzata “ammazzacinghiali”.
Pubblicato originariamente in: http://animalistifvg.blogspot.it/2015/11/una-repubblica-oligarchica-fondata.html
Il bilancio delle stagioni di caccia si rivela ogni anno un vero e proprio bollettino di guerra: decine e decine di morte umane, centinaia di feriti, centinaia di migliaia di morti animali, dimenticate, cancellate. Sono queste le vere vittime della caccia, che non balzano mai, come si dice, “agli onori delle cronache”, come sta succedendo in questo periodo ad altre vittime come Adamas o l’operaio Gianfranco Barsi di Lucca.
Ci chiediamo se i colpevoli siano soltanto i cacciatori, i singoli, o se queste morti possano essere imputate anche a qualcun altro. E la risposta più che ovvia non può essere altro che questa: il cacciatore con la sua tracotante sicurezza, con la sua aggressiva arroganza, con la sua crudele volontà di uccidere, è ben sicuro della sua impunità perché sa, come dovremmo sapere anche noi, di essere solo la punta dell’iceberg di un sistema basato sul dominio del forte sul debole, su un’oligarchia che fa della limitazione della libertà il suo principio costituente, lasciando la maggioranza inerme in balia di una minoranza armata, sulla connivenza e omertà istituzionalizzate.
Ci chiediamo quindi se gli italiani siano veramente contro la caccia. I cacciatori sono una minoranza, con un trend in calo continuo (le stime parlano di un numero di circa 700 mila cacciatori), la maggior parte degli italiani sembrerebbe essere contraria alla caccia.1
Ma se è veramente così perché i cacciatori possono continuare indisturbati nella loro opera di sterminio, perché noi dobbiamo rimanere prigionieri di un regime terrorista?
Non sarà forse perché gli stessi che si dichiarano contro la caccia poi vanno la domenica negli agriturismi a ordinare cervo, fagiano o pappardelle con ragù di cinghiale, senza interrogarsi sulla provenienza di quel che hanno ordinato, senza rendersi conto che sono loro stessi i mandanti di quelle stragi? E neppure gli organi preposti ai controlli sembrano chiedersi da dove arriva quella cacciagione.
Certamente le centinaia di migliaia di animali cacciati non possono essere tutte destinate al consumo personale dei cacciatori! Quindi è legittimo pensare che parte delle loro prede sia venduto ad amici, parenti e attività come ristoranti e agriturismi.
A questo punto si affollano alla nostra mente (e probabilmente solo alla nostra, non a quella dei consumatori e dei controllori) una serie di domande: vengono effettuati controlli fiscali su cacciatori e ristoratori? In un regime di paura, che impedisce ad un genitore di portare all’asilo una torta preparata in casa per il compleanno del figlioletto, perché potrebbe essere pericolosa, la carne di animali selvatici (quindi non vaccinati né visitati da un veterinario) è igienicamente sicura? Viene controllata? E le macellazioni come si svolgono? Non ci sono forse delle leggi che regolano le macellazioni casalinghe?
Tutte queste questioni, seppure importanti, non sono fondamentali nella lotta antispecista alla caccia, ma potrebbero costituire un’ulteriore arma per smuovere le istituzioni, a prendere una posizione chiara e chiarificatrice in merito. Continua a leggere
Viviamo l’antitesi della realtà, l’opposto della ragione. Dell’irragionevole facciamo la nostra ragione.
“Nothing is more difficult than to know precisely what we see.” - Maurice Merleau-Ponty
Fatti i libri tuoi
viaggio attraverso il cinema muto
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Don't write slogans, write truths - Joe Strummer
Viaggi, ricerche, letture, storie dimenticate...
A sci-fi film history in reviews
riflessioni di un antispecista disilluso
Fuori luogo in ogni dove
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