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L’altro, il mostro e l’animale. Proiezioni dal mondo della fantascienza

09 venerdì Feb 2018

Posted by Tamara Sandrin in il gabinetto del dottor Codermatz

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di Tamara Sandrin

Articolo già pubblicato sul numero 28 di Liberazioni. Rivista di critica antispecista

Anche la storia dei mostri, come quella di tanti altri falsi, è una storia di sopraffazione e di violenza; una storia che non può essere liquidata come superstizione insensata o nevrosi collettiva; una storia che rischia di divenire ciclica o addirittura eterna1.

L’altro è chiunque incontriamo nella nostra vita ed è diverso da noi. È l’animale e lo straniero. Ma è anche tutto ciò2 in cui non ci riconosciamo: è il nostro corpo così diverso e inferiore allo “spirito”, con le sue esigenze ingombranti, fastidiose, a volte imbarazzanti e disgustose; è il nostro inconscio, così misterioso e spaventoso, che nasconde ricordi e pulsioni che vorremmo cancellare e dimenticare; è la nostra immagine nello specchio che giunge distorta ai nostri occhi perché non corrisponde alla nostra immagine ideale.
L’
altro è tutto ciò che pensiamo inferiore a noi solo perché diverso, imperscrutabile e muto.
Il cinema di fantascienza
3 ci pone in continuazione di fronte all’altro: mette in scena un’alterità difforme e spaventosa che da una parte si riallaccia alla tradizione del mostruoso, del portentum e dei mirabilia, e dall’altra ne rinnova le forme e ne introduce delle nuove. Vecchi e nuovi mostri hanno in comune i caratteri legati alla loro deviazione dalla norma divina e sociale (almeno da quella dettata dalla visione religiosa e culturale che si rifà al modello antropocentrico cristiano), alla loro vis polemica e trasgressiva e alla loro provenienza da luoghi e tempi lontani ed esotici.
I mostri della tradizione mitologica hanno origini antichissime, che affondano in una zona temporale incerta e misteriosa, in un immaginario dove l’umano non esisteva. Allora la Terra era dominata da demoni e dei, e gli animali potevano ben dirsi a un passo dalla divinità. Anche i mostri medievali erano connotati dal loro abitare
altrove, come raccontano le cronache e i diari di esploratori, missionari e mercanti che ci parlano delle meraviglie dell’Asia, dell’Africa, delle Indie e, poi, delle Americhe, di popolazioni umane e animali sconosciuti, di ibridi e creature leggendarie.
Allo stesso modo anche i mostri della fantascienza giungono da una lontananza temporale e spaziale: animali che si risvegliano da sonni millenari e alieni. Animali preistorici, insetti giganti, alieni mostruosi, ibridi e mutanti popolano questi film e obbligano lo spettatore a prendere posizione nei confronti della loro alterità. Ma non sempre è facile distinguere i mostri che, nonostante l’aspetto perfettamente umano col quale talvolta si presentano allo spettatore e ai protagonisti, fanno comunque percepire il loro essere diversi.
Qual è l’
io da cui l’altro differisce? Il protagonista del film, di solito, è un maschio bianco, di bell’aspetto, intelligente. Può essere un militare o uno scienziato, è socialmente e professionalmente affermato: è il campione della normalità vincente, dell’androcentrismo militar-imperialista della società dell’epoca. Chiunque scarti da questi canoni diviene altro, diventa alterità che coincide con animalità.
L’aspetto fisico non è sufficiente a determinare l’uguaglianza o la diversità, né lo sono le competenze scientifico-tecnologiche o morali. Ne è un esempio l’uomo astrale di
Ultimatum alla Terra4, che possiede un aspetto perfettamente umano, giunge in pace e dimostra superiorità tecnologica rispetto a quella umana, ma viene accolto con i fucili spianati e con un atteggiamento diffuso di diffidenza e prevenzione. È uno straniero, non è di questa Terra, perciò viene assimilato a un animale:

Che cosa vuol fare? Se ha saputo costruire una macchina capace di arrivare alla Terra e un automa capace di disintegrare dei carri armati, quali altri disastri sarà capace di fare? È indispensabile trovarlo quest’uomo. Dev’essere braccato come un animale selvaggio, deve essere distrutto, ma dove può nascondersi una simile creatura? Sarà andato a celarsi in una foresta? O nei bassifondi di qualcuna delle nostre città?

Allo straniero, quindi, vengono riconosciute intelligenza e capacità, che però sono ritenute «disastri». Si scivola lungo la china del pregiudizio e l’uomo astrale diviene «animale selvaggio» da braccare e distruggere. In quanto animale va ricercato in un ambiente tipicamente selvaggio – la foresta – o in un ambiente umano vicino alla bestialità, nei bassifondi cittadini dove vivono esseri sub-umani, non identificabili con il modello dell’uomo bianco; uomini-bestie, poveri, disadattati che non sanno o non vogliono conformarsi alle normatività borghese.
Altri interessanti esempi in cui l’altro umano diventa animale li possiamo trovare ne
Il pianeta delle scimmie5 e ne L’uomo che visse nel futuro6. Ne Il pianeta delle scimmie l’uomo è l’animale dell’animale e assume su di sé tutte le caratteristiche che attribuiamo agli animali:

«Questi animali sono sporchi, puzzano, sono portatori di germi patogeni»7.

Si costituisce in questo modo una doppia animalità (quella delle scimmie e quella dell’uomo) che diviene doppia alterità: la scimmia è l’altro/animale per l’uomo che è l’altro/animale per la scimmia. Nel film gli umani sono sottoposti allo stesso identico trattamento che noi riserviamo agli animali: sono schiavi, costretti a ogni genere di sopruso e vessazione, sono prede, bersagli di caccia, cavie per esperimenti, vengono disprezzati, derisi, annullati.
Ne
L’uomo che visse nel futuro troviamo due popolazioni discendenti dagli umani: gli Eloi, belli, biondi, fruttariani, pacifici, totalmente apatici, inattivi e anaffettivi, e gli orribili e feroci Morloch, che vivono sottoterra e che sembrano i veri eredi culturali della scienza e della tecnica umane, pur avendo aspetto e comportamento bestiali (li potremmo definire orchi). I Morloch allevano gli Eloi per cibarsene:

I Morloch erano diventati i padroni e gli Eloi i loro servitori. I Morloch li mantenevano e li nutrivano come bestiame solo per portarli nelle caverne a maturità raggiunta8.

Nei Morloch l’animalità è preponderante tanto per il loro aspetto, quanto per la colpa di cui si sono macchiati, il cannibalismo: hanno infranto il più grave e terribile tabù alimentare imposto dalla natura e dalla civiltà e la loro bruttezza e deformità è la traduzione della loro inferiorità morale. Ma anche gli Eloi in realtà non sono umani ma «bestiame», sono ridotti «a dei vegetali» perché hanno tradito, dimenticato e ripudiato l’evoluzione umana e il progresso culturale per dedicarsi solo all’ozio e al divertimento:

Che avete fatto! Migliaia di anni, di immense fatiche costruttive, di geniali invenzioni fatte marcire nella polvere! Un milione di anni, di gente morta per i suoi sogni, e per che cosa? Perché voi nuotiate e vi trastulliate e parliate!

Umanità e animalità si fondono dunque negli Eloi e nei Morloch in percentuali diverse e, in virtù della maggiore o minore animalità presente in loro, sono destinati ad essere distrutti (i Morloch) o ad essere dominati e colonizzati. Gli Eloi, dopo esser stati sottomessi dai Morloch, verranno risvegliati dal loro torpore e dall’ignoranza, verranno istruiti secondo le leggi, i canoni e i comandamenti del passato e indirizzati verso una vita attiva e lavorativa.
Il caso più evidente di fusione tra animalità e umanità lo troviamo nell’ibrido, essere a metà strada tra umano e animale, aberrazione tassonomica, immagine fraudolenta e ingannevole. Dalla mitologia, ecco sirene, sfingi, melusine, ecc., con volto umano e corpo di pesce o ferino, che traevano in inganno uomini e donne, testimonianza di una qualche colpa che si traduceva nella progressiva bestializzazione del trasgressore. È ciò che accade ad André Delambre
9 per aver voluto «sfidare dio», la sua tracotanza scientifica viene punita con un “incidente” che lo scinde in due ibridi: un uomo con la testa e il braccio di mosca e una mosca con la testa d’uomo e «una strana zampa». Questi due ibridi generano sentimenti contrastanti negli altri protagonisti: pietà, orrore, paura, disgusto e scrupoli morali sulla liceità della loro uccisione.

Ha commesso un assassinio non meno di quanto l’abbia commesso Helen. Uno ha ucciso una mosca con la testa di uomo e l’altra un uomo con la testa di mosca. Se Helen ha ucciso, ha ucciso anche lei.

L’ibrido mette dunque in discussione il confine tra le specie aprendo una nuova prospettiva nei rapporti con l’alterità e con l’animalità: la distruzione di un “altro” che in parte è umano potrebbe portare a una crisi di coscienza. Entrambi gli esemplari (l’uomo-mosca e la mosca-uomo) tuttavia vengono uccisi e lo stesso accade ad altri ibridi del cinema di fantascienza.
L’umano non è ancora pronto a vedere se stesso negli ibridi e continua a scorgervi solo una disgustosa metamorfosi, una pericolosa devianza verso l’animalità e ne è spaventato ancora di più quando si rende conto che questa stessa animalità si nasconde in lui: «Così gli ibridi, metà uomini e metà bestie, mettono in scena le inclinazioni animalesche dell’uomo»
10. Guardandosi allo specchio l’umano non si riconosce in un’immagine di sé riconducibile all’animalità: la percepisce deformata e ne è disgustato perché la vede deturpata da caratteristiche bestiali che cerca di alienare da sé. Rifiutando la propria animalità, la incarna totalmente in coloro che vede più estranei e lontani da lui, negli animali, che da questa operazione escono sovraccaricati di caratteristiche negative. Ecco quindi che, nel cinema di fantascienza, l’animale ad esempio diventa gigante, come ad amplificare queste caratteristiche raccapriccianti, a rafforzare l’odio nei suoi confronti e a giustificare l’accanimento contro di lui. Se l’altro diventa un gigante spaventoso, non si può far altro che temerlo e odiarlo; si hanno tutte le ragioni per combatterlo e per cercare di annientarlo con tutte le forze e con tutte le armi che la civiltà e il progresso umani mettono a disposizione. Dinosauri e insetti enormi, terrificanti e apparentemente invincibili, pullulano e scorrazzano per deserti e città seminando panico, morte e distruzione. Contro di loro si scatena una «vera guerra contro un nemico terribile che l’uomo moderno non aveva finora affrontato»11, si schiera l’esercito coadiuvato sempre dalla scienza. La conoscenza dell’altro non diventa via di avvicinamento e comprensione, ma di distruzione e dominio:

Se il comprendere non si accompagna al pieno riconoscimento dell’altro come soggetto, allora questa comprensione rischia di essere utilizzata ai fini dello sfruttamento, del “prendere”; il sapere risulterà subordinato al potere12.

Pensiamo, ad esempio, Il risveglio del dinosauro13: il redhosauro (animale preistorico di fantasia) si risveglia da un letargo millenario (altrove temporale) e si sposta dall’Artico (altrove spaziale) verso New York (cuore pulsante della nostra civiltà). Nella sua migrazione viene seguito da un anziano paleontologo che vorrebbe catturarlo per studiarlo, ma che verrà ucciso proprio dal suo “amico”14 preistorico. A quel punto per il redhosauro non c’è più appello; condannato a morte, verrà ammazzato tra le volute dell’ottovolante di Coney Island. Oppure pensiamo a Godzilla15 che il professor Yamane inizialmente cerca di “proteggere” proponendone la cattura:

PROFESSOR YAMANE: Godzilla è un esemplare unico ed è apparso proprio qui in Giappone…
OGATA: Ma non possiamo lasciare che il mostro distrugga ogni cosa. È come una bomba H sospesa su tutti noi!
PROFESSOR YAMANE: Allora cerchiamo il segreto della vita che ha resistito alle bombe H […]. Anche tu vuoi uccidere Godzilla? Vattene non voglio vederti.

Di fronte all’impossibilità di dominarlo, cederà e acconsentirà alla sua distruzione.
In molti film gli scienziati vengono interpellati per trovare il metodo migliore per uccidere gli animali giganti, anche quando esprimono ammirazione nei loro confronti. Un bell’esempio è Assalto alla Terra16, in cui il professor Medford tesse le lodi delle formiche. Prospettando poi una visione apocalittica del futuro dell’umanità17, fornisce alla polizia le istruzioni per rintracciare i nidi delle formiche regine e distruggerli assieme a pupe e uova.
Gli scienziati non sono gli unici interessati a catturare i mostri: lo sono anche cacciatori e mercanti di schiavi. Il dominio umano, nel cinema come nella realtà, diventa dimensione ludica ed esercita la sua coercizione nei non-luoghi dello sfruttamento animale (zoo, circhi, rodei, fiere ed esposizioni) rivelando il suo intento pedagogico e culturale imperialista. Ricordiamo Gwangi
18, il tirannosauro catturato (con il lazo!) e condotto in un circo, e soprattutto Gorgo19, strappato dal suo ambiente marino e sbattuto nella fiera di Battersy Park dove viene esibito e venduto, com’era già accaduto a King Kong20:

Venite a vedere Gorgo: l’ottava meraviglia del mondo! […]. Cinque scellini, signore e signori! Portate i bambini, è molto istruttivo. Di qua, presto, presto, presto! Gorgo, l’ultimo anello rimasto con i tempi preistorici. Solo cinque scellini, signore e signori, cinque scellini per vedere Gorgo!21.

Cinque scellini per vedere un prigioniero in uno zoo, uno schiavo, un condannato nella sua cella di terra battuta. Cinque scellini: tanto vale il suo corpo che può essere violato dall’impudico sguardo umano. A differenza di Gwangi e di molti altri mostri, Gorgo riuscirà però a liberarsi dalla stretta mortale dell’uomo e a ritornare nel mare insieme ad altri della sua specie. Ciò suggerisce che una convivenza fra umani e non umani è possibile se fondata su una giusta distanza.
Abbiamo visto come l’
altro animale, anche quando ha tratti umani, venga sempre considerato e trattato da animale: cacciato come preda e trofeo, ucciso perché pericoloso, esposto come portentum, quindi sfruttato come fonte di guadagno, studiato e vivisezionato come cavia. Il gill-man, nella trilogia che lo vede protagonista22, ha impersonato via via tutti questi ruoli: ne Il mostro della Laguna Nera da oggetto di studio e osservazione diventa subito preda ambita per dare lustro alla carriera (scientifica); ne La vendetta del mostro viene catturato, esposto in un acquario e soggiogato con la violenza e con i rinforzi positivi; in Terrore sul mondo viene di nuovo catturato da un’equipe medica che lo sottopone prima a interventi chirurgici per trasformarlo in un essere terrestre e poi al condizionamento ambientale per plagiarlo.
Questi tentativi saranno destinati al fallimento perché il gill-man è l’esempio più evidente (ma non vittorioso) di resistenza alla domesticazione: in ogni episodio della saga, l’uomo-pesce riesce a fuggire perché è forte e intelligente e sa avvalersi di tutte le doti di cui è fornito. Non ha paura dei suoi istinti e dei suoi desideri e li manifesta apertamente (come ad esempio quando rapisce Kay
23 o Helen24), è padrone del suo mondo, del suo corpo e della sua vita. Nonostante la metamorfosi che ha subito, resiste, si ribella, reagisce in maniera imprevista, abbandona il mondo umano, terrestre, che ancora non gli appartiene, e cerca di tornare nel suo mondo acquatico, a cui non appartiene più. Alla fine di Terrore sul mondo lo vediamo allontanarsi, solo: «Il nostro esperimento è fallito: la bestia rimane bestia»25. Se almeno fosse vero! La bestia, purtroppo, passando per le mani umane, perde gran parte della sua animalità per diventare nostalgia del selvaggio, ricordo dell’indomito e rimpianto di libertà.
Anche le donne dei film di fantascienza sono l’
altro. Queste donne che cadono, inciampano, vengono catturate dai mostri, che si innamorano e fanno innamorare, che – in situazioni straordinarie – sono scienziate, medici, astronaute, sono indipendenti e sicure di sé, per poi pentirsi, cercare la protezione del “maschio” e la realizzazione nella famiglia invece che nel lavoro:

A volte mi domando come mai mi sono data a questa carriera. Studio, scienza, ittiologia che vantaggi possono darmi? Come donna intendo. Quante delle ragazze che venivano a scuola con me sono già sposate e hanno dei figli…?26.

Ecco, sono loro l’alterità reale e concreta dell’uomo, perché davanti a lui restano, esattamente come gli animali, imperscrutabili e misteriose, incomprensibili e spaventose, simili e al contempo diverse:

La trappola si ritorce contro gli anthrōpoi, costretti a convivere per sempre con questa “metà” di loro stessi, creata per loro, per farli diventare ciò che sono, degli andres, ma nella quale non si riconoscono. Loro indispensabile complemento, del quale non saprebbero fare a meno, essa ha il duplice volto della sventura e del fascino. Agli occhi dell’uomo, ormai divenuto maschio, la donna appare come il simbolo dell’inesplicabile27.

«Il paragone animale che permette di denunciare le donne come un “male”, sottolinea […] il divario esistente tra uomini e bestie, anche quando la somiglianza sembrava essere completa»28.

L’uomo accetta la donna come un “male necessario” alla perpetuazione della specie: dopo la distruzione del mostro o la sconfitta degli alieni, dopo il ritorno della pace, anche la donna deve “rientrare nei ranghi” e assolvere alla sua principale funzione, quella riproduttiva che diventa vero e proprio mezzo per l’eliminazione dell’alterità non umana. La donna, alterità del maschio, può essere dunque riassorbita e perdere la sua natura altra, “aliena”, nel momento in cui si ri-unisce all’uomo ricollocandosi nel suo ruolo ben preciso di sposa e madre. Guardando la donna solo come fattrice, sottolineando l’importanza della sua capacità riproduttiva, l’uomo fa spazio nel mondo al suo corpo, la fa vivere solo in virtù della sua corporeità che altro non è che animalità.
Ancora una volta animalità e alterità coincidono.

Note:

1 Franco Porsia (a cura di), Liber Monstrorum, Dedalo, Bari 1976, p. 40.

2 Uso di proposito ciò e non chi perché davanti all’altro diverso da noi spesso non siamo in grado di riconoscergli la nostra stessa soggettività: ai nostri occhi l’altro decade al rango di oggetto (vivente) e può ambire al massimo a divenire oggetto del nostro interesse personale, del nostro tornaconto economico e professionale, dei nostri desideri e della nostra morbosa curiosità.

3 Quando parlo di cinema di fantascienza mi riferisco ai film realizzati tra il 1950 e il 1969.

4 Robert Wise, Ultimatum alla Terra, USA 1951. Lo stesso vale per la citazione successiva.

5 Franklin Shaffner, Il pianeta delle scimmie, USA 1968.

6 George Pal, L’uomo che visse nel futuro, USA 1960.

7 Il pianeta delle scimmie, cit.

8 L’uomo che visse nel futuro, cit. Lo stesso vale per le citazioni successive.

9 Kurt Neuman, L’esperimento del dottor K., USA 1958. Lo stesso vale per le citazioni successive.

10 Gil Bartholeyns, Pierre-Olivier Dittmar e Vincent Jolivet, Immagine e trasgressione nel Medioevo, trad. it. di M. Faccia, Arkeios, Roma 2015, p. 142.

11 Eugène Lourié, Il risveglio del dinosauro, USA 1953.

12 Tzvetan Todorov, La conquista dell’America, trad. it. di A.Serafini, Einaudi, Torino 1984, p. 161.

13 Il risveglio del dinosauro, cit. La trama costituisce un paradigma per quasi tutti i film su animali giganti che si risvegliano, per un motivo o un altro, dal letargo o dall’ibernazione, da Godzilla (Ishiro Honda, Giappone 1954) a La mantide omicida (Nathan Juran, USA 1957).

14 «Quale pericolo vuole che ci sia? Gli animali preistorici sono miei amici!».

15 Godzilla, cit. Lo stesso vale per la citazione successiva.

16 Gordon Douglas, Assalto alla Terra, USA 1954.

17 «Forse noi assisteremo all’avverarsi della profezia biblica: tenebre e distruzione verranno su tutto l’universo e i mostri regneranno sulla Terra! […]. Il predominio dell’uomo sugli animali avrà probabilmente termine entro un anno».

18 James O’Connolly, La vendetta di Gwangi, USA 1969.

19 E. Lourié, Gorgo, GB 1961.

20 Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsacks, King Kong, USA 1933.

21 Gorgo, cit.

22 Jack Arnold, Il mostro della Laguna Nera, USA 1954; Id., La vendetta del mostro, USA 1955; John Sherwood, Terrore sul mondo, USA 1956.

23 Il mostro della Laguna Nera, cit.

24 La vendetta del mostro, cit.

25 Terrore sul mondo, cit.

26 La vendetta del mostro, cit.

27 Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant, La cucina del sacrificio in terra Greca, trad. it. di C.Casagrande e G.Sissa, Bollati Boringhieri, Torino 2014, pp. 79-80.

28 Ibidem, p. 91.

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Insetti giganti e alieni mostruosi

07 mercoledì Giu 2017

Posted by Tamara Sandrin in Entr'acte, Libri e pubblicazioni

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alieni mostruosi, animalismo, anni '50, anni '60, antispecismo, cinema, fantascienza, Insetti giganti, Jack Arnold, Katia Brancaleoni, Tamara Sandrin

di Tamara Sandrin

All’inizio dell’anno è uscito il mio libro sul rapporto tra noi e l’altro, tra alterità e animalità nel cinema di fantascienza degli anni ’50 e ’60.
Mi è costato impegno e fatica: per scrivere di cinema non basta guardarsi qualche filmetto e buttare giù due righe, i film vanno visti e rivisti, analizzati, compresi e valutati, studiati e va ben ponderata l’interpretazione che se ne vuole dare, per evitare le letture “stiracchiate” tipiche dell’erudizione critica.
Ma ne ho ottenuto anche soddisfazione: è un librettino che si legge volentieri e tutto d’un fiato e ho già avuto dei riscontri positivi e lusinghieri da chi lo ha letto.

Il libro (ebook o cartaceo) può essere acquistato on-line su diversi bookstore, per esempio:

  • http://www.youcanprint.it
  • https://www.ibs.it
  • https://www.amazon.it
  • http://www.mondadoristore.it

oppure se mi incontrate di persona!

Qui trovate l’articolo, scritto per la rivista Liberazioni, tratto dal libro.

Lascio ora ai miei lettori di CaVegan la prefazione del libro dove spiego un po’ la sua genesi e il suo intento, sperando di stuzzicare la curiosità!

 

Questo libro nasce da due sentimenti che animano il mio cuore: il tumulto dell’ingiustizia intra e inter-specifica e la passione per il cinema, in particolare per il vecchio cinema di fantascienza.
Quando ho iniziato a lavorarci pensavo di scrivere un breve articolo su tre o quattro film per accompagnare una breve rassegna, ahimè mai realizzata (finora). I film in questione erano
L’uomo che visse nel futuro, Tarantola, Assalto alla terra e L’astronave degli esseri perduti, però la folgorazione è arrivata con Destinazione… Terra! di Jack Arnold, con la sua celebre battuta “distruggiamo ciò che non riusciamo a capire”: era la descrizione, lapidaria, di ciò che fa e ha sempre fatto l’animale umano nei confronti degli altri animali non umani e umani.
A quel punto il mio pensiero si è schiarito e riandando con la mente ai tanti film che avevo visto, ho trovato che questo tema era ricorrente in molti, moltissimi, film di fantascienza degli anni ’50 e ’60.
Li ho rivisti, ne ho visto altri e altri ancora, tutti mi sembravano interessanti e affascinanti, perciò a quel punto il lavoro, come si usa dire,
“mi ha preso la mano” e, da un modesto articolo, mi sono azzardata a intraprendere un progetto più ambizioso, con tutti i suoi e i miei limiti.
A un certo punto il materiale che avevo continuava a crescere, finché ho dovuto fermarmi, farne una cernita, scegliere, scartare.
Il libro non pretende di essere esaustivo, sicuramente può essere integrato e ampliato (per esempio manca del tutto l’analisi della produzione, pregevolissima, dei paesi dell’Est Europa, oltre la cortina di ferro, e – di tutte le pellicole giapponesi – ho tenuto conto solo di Godzilla): ho cercato di fornire un quadro generale sull’argomento, che funga da spunto di riflessione.
Spero di riuscire ad avvicinare qualche animalista al mondo del cinema, che tanto ci offre come chiave di lettura della realtà, della società e dell’animo umano.
Spero di riuscire a innescare una scintilla antispecista nella mente di qualche buon cinefilo che si prenderà la briga di leggere questo libro.
Spero che, alla fine, i volti dell’altro umano e non umano non appaiano più così diversi e spaventosi, così imperscrutabili e muti, ma che si fondano in un unico volto di tensione vitale.
Buona lettura.

 

La bellissima illustrazione realizzata da Katia Brancaleoni.

 

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