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di Rodrigo Codermatz

Già da qualche anno, i mass-media e gli specialisti del settore dell’alimentazione hanno segnalato la diffusione di un nuovo disturbo, chiamato Ortoressia Nervosa (orthorexia nervosa ON) per indicare una vera e propria ossessione per il mangiare in modo sano.

Il termine ortoressia (da orthos, giusto, corretto, e orexis, appetito) fu utilizzato per la prima volta nel 1997 in un articolo sulla rivista Yoga Journal dal dietologo americano Steven Bratman1 per descrivere l’ossessione patologica riguardo al consumo di cibi sani, naturali, biologicamente puri, accompagnata da una forte preoccupazione circa le caratteristiche nutritive e organolettiche degli alimenti, che può impattare negativamente sulla qualità della vita e le relazioni interpersonali (isolamento sociale).

Molti autori sono concordi nell’intendere l’ON come una strategia di coping disfunzionale contro i ritmi e i costumi alimentari malsani della civiltà occidentale: come scrive Pollan2 nel suo Il dilemma dell’onnivoro, nelle società occidentali – quella statunitense in particolare – l’ON si sarebbe sviluppata come “paura per il cibo” in reazione alla diffusione di cibo spazzatura, contaminato, malsano, ipernutriente e dannoso per la salute e dall’altra parte elicitata dal bombardamento mediatico sulla bontà di alcuni alimenti “nuovi” ed estranei alla tradizione culinaria occidentale e sulla nocività di altri che ci hanno invece accompagnato nella crescita (ad esempio lo zucchero)3.

Certamente non si può ignorare l’insorgenza ed emergenza di questo nuovo e invalidante disagio psicologico specifico, tra l’altro costantemente in crescita nei paesi occidentali (soprattutto nella popolazione maschile over 30 anni).

Seppure il DSM-5 riconosca come patologico qualsiasi comportamento che porti alta disfunzionalità in ambito sociale, scolastico e lavorativo, la ricerca non ha ancora portato a criteri clinici condivisi e sufficientemente specifici, tali da distinguere l’ortoressia da altri disturbi dell’alimentazione o della personalità già presenti nel DSM. Infatti, l‘ortoressia nervosa attualmente non è riconosciuta come malattia o disturbo dell’alimentazione da nessun manuale diagnostico in uso, né dal DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, APA 2013)4 né dall’ICD-10 (OMS)5.

Uno dei motivi per cui l’ON non è ancora stata inserita all’interno dei disturbi della condotta alimentare (eating disorders ED), ad esempio, è che il suo esordio non sembra legato a una bassa autostima e le ossessioni del soggetto ortoressico non riguardano tanto il peso o la forma corporea (quantità) ma la purezza degli alimenti (qualità). Risulta facile, però, l’esito dell’ON in anoressia o bulimia.

Comune ai due disturbi sarebbe la presenza di un elevato perfezionismo e bisogno di controllo, rigidità, meccanismi fobici (malattie e contaminazione) e ipocondriaci. Spesso è presente il desiderio delirante di avere un corpo forte e resistente agli attacchi infettivi o al trascorrere del tempo centrato sull’idea che “tutta la salute dipende dal cibo”.

Sembra esserci quindi una relazione tra ortoressia nervosa e disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) nel senso che le persone che soffrono di DOC possono manifestare anche tendenze ortoressiche (Arusoĝlu et al., 2008)6 gravitanti attorno al dismorfismo corporeo (Bundros, Brytek-Matera e Agopyan, 2016)7, all’immagine del corpo,allo stile di attaccamento e all’autostima (Barnes e Catalbiano, 2017)8: anche narcisismo e perfezionismo sono tratti compresenti a comportamenti ortoressici (Oberle, Samaghabadi e Hughes, 2017)9.

Rimangono comunque molte incertezze circa l’eziologia, i fattori predisponenti e i criteri diagnostici dell’ON e, di conseguenza, risulta molto difficile la formulazione di strumenti di screening diagnostico validi e attendibili. Quelli esistenti (ORTO-15, Bratman Orhorexia Scale – BOT, Eating Habits Que – EHQ) sono molto discutibili e ambigui sia a livello propriamente clinico che psicometrico.

Non esistendo a oggi né una definizione universalmente accettata né dei criteri diagnostici formalmente riconosciuti, si intende per ortoressia nervosa (ON) l’ossessione patologica per i cibi “puri”, con conseguenti limitazioni sostanziali nella dieta e presenza di:

  • ruminazione ossessiva sul cibo: eccessiva preoccupazione circa la qualità del cibo, il rischio di contaminazione, la minaccia che sia sporco, non sano, non puro che si può trasformare in una vera e propria mania di persecuzione;
  • comportamenti ossessivi riguardanti la selezione, la ricerca, la preparazione ed il consumo degli alimenti (forte preoccupazione al pensiero di cosa mangiare con conseguente pianificazione dei pasti con diversi giorni di anticipo nel tentativo di evitare i cibi ritenuti dannosi, ad esempio, cibi contenenti pesticidi residui o ingredienti geneticamente modificati o “artificiali”, oppure ricchi di un componente ritenuto insano come lo zucchero o il sale; impiego di una grande quantità di tempo nella ricerca e nell’acquisto degli alimenti a scapito di altre attività; preparazione del cibo secondo procedure particolari ritenute esenti da rischi per la salute come, ad esempio, cottura particolare dei cibi o utilizzo di un certo tipo di stoviglie);
  • insoddisfazione affettiva e isolamento sociale dovuti alla persistente preoccupazione riguardo al mantenere le regole alimentari autoimposte (Brytek-Matera, 2012)10 e sentimenti di soddisfazione e autostima oppure di colpa e forte disagio a seconda dell’avere o meno rispettato le regole auto-imposte.

Questo quadro sembra abbastanza chiaro e coerente ma desta grossa perplessità se si vanno a consultare i diversi studi che lo propongono e lo sorreggono, risultato di una certa ricerca psicologica decisamente miope, disinformata e superficiale, disancorata da qualsiasi fondamento storico-sociale e politico e a dir poco “ideologica” (nel senso althusseriano e politico del termine).

Più volte, tra le motivazioni multifattoriali e le cause dell’ansia alimentare, accanto al bombardamento mediatico sull’alimentazione sana, l’eccessiva attenzione all’aspetto fisico, la tendenza a comportamenti ossessivo-compulsivi e all’ipocondria, troviamo le “motivazioni etiche e religiose” che, secondo alcuni autori, porterebbero all’eliminazione dalla dieta di alimenti importanti per il valore nutrizionale del fabbisogno giornaliero. Cosa che costituisce chiaramente un’infondata generalizzazione.

A ruota libera vengono presi in ballo il vegetarianesimo e il veganismo (con grande confusione e indistinzione tra dieta vegetariana e vegana e tra il veganismo salutistico e quello etico e antispecista) che diventano non solo sintomo ma vero e proprio marker di vulnerabilità e fattore predisponente all’ortoressia. Si ipotizza anche che le persone vegetariane/vegane provino paura non solo della contaminazione fisica ma addirittura della perdita di una purezza simbolico-identitaria o etico-ideologica; le persone vegetariane/vegane, come presunte ortoressiche, cadrebbero presto vittima di eccessi di autostima, di senso di superiorità, presa di distanza e vera e propria intolleranza verso altri tipi di dieta che sfocerebbero inesorabilmente nell’isolamento sociale,con il risultato di divenire quasi degli asceti alimentari.

Esistono diversissimi studi a riguardo, tra i quali uno in particolare11, i cui dati – estratti da un campione spagnolo – sembrano confermare una maggior probabilità di sviluppare preoccupazioni patologiche circa il cibo in individui che seguono una dieta vegana e vegetariana rispetto agli onnivori.

L’ambivalenza e l’attuale inconsistenza e confusione teorica circa il costrutto ortoressia, l’incertezza sull’oggetto preciso dell’indagine e sul fine della ricerca e soprattutto la poca affidabilità e validità dei test di screening, si riflettono inevitabilmente nei diversi studi e disegni sperimentali che sono fortemente contrastanti e spesso vanno in direzioni opposte (cfr. Brytek-Matera et al., 201912, Çiçekoğlu and Tunçay, 201813, Barthel et al., 201814). Lo stesso studio sul campione spagnolo appena citato è, a mio parere, già viziato nella composizione e selezione del campione: innanzitutto risulta molto sproporzionato per genere e stato civile, inoltre – come in tantissimi altri studi e disegni sperimentali sull’argomento – manca ogni distinzione tra i vari sottogruppi vegani: c’è una grande differenza tra un vegano salutista e un vegano etico (antispecista); tra i vegani antispecisti, ad esempio, sembra non essere così centrale e predominante questa particolare attenzione e preoccupazione per l’aspetto “sano” del cibo: distinguendo i campioni per motivazione probabilmente otterremmo dei risultati molto diversi, del tutto comparabili ai quelli dell’onnivoro tipico e “normale”, come tra l’altro sembra apparire dai dati della stessa ricerca. Comunque, concludono gli autori:

[…] we do not consider as a possible diagnostic criterion of ON the fact of reducing meat for compassionate or ethical reasons. In fact, the food restrictions associated with this pathology have another direction very diferent from the one defended by most philosophies in line with vegetarianism and go more in the direction of food purity. There is a continues debate between differerent researchers about the criteria of ON. The fact of studying individuals with dierent dietary restrictions can provide us with very valuable information even though the existence of a connection between ON and different types of diets is still not fully established. Recently, there has been an attempt to examine whether there is a possible cause–effect relationship between making specific dietary decisions and the appearance of ON […] For example, in the case of vegetarians, where we cannot dismiss the existence of ON, but where it is important to clarify that a certain philosophy, in itself, or the adoption of a vegan diet are not risks, per se, with regards suffering pathological orthorexia; rather, these dietary habits could be framed within a healthy dimension of orthorexia […] This study has several limitations. First, we used a classification of vegetarianism and veganism based on self-reported eating behaviors. Therefore, our results may be specific for self-reported vegetarians and vegans and cannot be generalized to all those who follow a vegetarian or vegan diet […] (Parra-Fernandez et al., 2020)15

Forse queste ricerche, spesso carenti di informazione, peccano di una forte de-contestualizzazione e rischiano di riconoscere come sintomi comportamenti del tutto normali e funzionali in un dato contesto sociale. Ovviamente in una società specista, onnivora e carnista vien da sé che l’onnivoro sia meno preoccupato e più a suo agio rispetto al vegano sempre preso dal reperire, selezionare e informarsi sulle qualità dei prodotti di un mercato completamente nuovo, quale quello delle diverse e sempre nuove linee alimentari vegane, che negli ultimissimi anni si stanno diffondendo sul mercato. Penso sia un diritto di ogni cittadino (vegano e non) dedicare del tempo a informarsi e accertarsi della qualità dei prodotti alimentari, come credo non possa essere considerato un sintomo, per quanto riguarda il veganismo etico, il sentirsi bene, soddisfatti e avere un’alta autostima quando si riesce a mantenere un comportamento etico (quindi non solo alimentare) che eviti la sofferenza ad altri esseri senzienti e che, al contrario, ci si senta frustrati o insoddisfatti, qualora questo si renda impossibile, o a disagio (reciproco) nel condividere il momento dei pasti con chi continua acriticamente a fondare i suoi “piaceri di gola” sulla sofferenza animale. Ritengo comunque che l’isolamento (altro presunto criterio diagnostico dell’ortoressia) sia in questo caso subìto più che agito, con l’attivazione di un comportamento che in psicologia sociale viene definito esclusione , stigma alimentare o ostracismo.

Per quanto riguarda il cliché comune del vegano come persona di buona condizione economica e estrazione sociale che consuma cibi ricercati e costosi ben si adatta a un altro criterio diagnostico dell’ortoressia che, però, nelle ultime ricerche accoglie sempre meno consensi.

Per concludere, il costrutto nosologico dell’ortoressia è alquanto impreciso e ambiguo nella sua eziologia e nei suoi criteri diagnostici; tale imprecisione, confusione e superficialità possono favorire il rischio di creare e “manualizzare” una nuova etichetta clinico-nosologica atta a normativizzare e performare pseudo-diagnosi non inclusive e pregiudizievoli verso scelte etiche (animalismo, antispecismo) e conseguenti comportamenti alimentari atipici (ricerca, selezione, controllo e pianificazione “ossessivi”, eccessivo investimento cognitivo e temporale) frutto non tanto di processi psichici disturbati (DOC, ipocondria, narcisismo, dismorfismo etc.) ma dell’architettura e dell’ideologia stesse (ad esempio, lo specismo) del sistema socio-economico e ri-produttivo in cui si vive, a partire semplicemente dal prodotto alimentare che il sistema decide di vendere e dalla sua presenza, assenza o posizione sugli scaffali del supermercato.

La clinica rischia in tal modo non solo di emettere diagnosi e terapie errate e infondate ma anche di rendersi ancilla di un potere politico ed economico che vuole rendere la massa acritica e fagocitante non concedendo neppure il tempo di informarsi su cosa/chi stia incorporando: una massa di miopi ipervoraci.

In sostanza, non sto affatto negando l’esistenza di un disturbo nuovo definito ON ma semplicemente constatando che l’attuale confusione e ambiguità dei criteri eziologici e diagnostici dedotti da studi, ricerche e supposizioni, che sottovalutano o ignorano del tutto la dimensione socio-economica e politica e soprattutto la dimensione contestuale e si basano su strumenti psicometrici ancora incompleti, può contribuire a rendere il compito diagnostico e la psicologia clinica in toto strumenti ideologici e riproduttivi di un sistema storico comunque epocale e politico col rischio di “mentalizzare” strutture e architetture politiche quali possono essere un semplice supermercato, un reparto di questo supermercato, uno scaffale di questo reparto, un barattolo su questo scaffale, un’etichetta di questo barattolo, un preciso ingrediente di questa data etichetta.

Lungi dai miei intenti anche affermare che non ci siano vegani (soprattutto salutisti) ossessionati, compulsivi, ritualistici con comportamenti e convinzioni estreme e paranoici: certo, ma questi disturbi non possono, forse e seppur in minima misura, essere anche indotti dalla situazione sociale e interpersonale reale, concreta e quotidiana che vivono nella quale, non tanto un presunto disturbo, ma quanto una convinzione etica e una semplice scelta dietetica fanno “terra bruciata” attorno a loro, “isolandoli”?

Questi fattori situazionali, questa dimensione interpersonale, culturale, sociale e antropologica è veramente e seriamente presa in considerazione da queste proposte diagnostiche che spesso peccano di “mentalismo”? Questi ricercatori si son mai “messi a tavola” (che elemento architettonico ideologico la tavola!) con altre culture e altre religioni? È indiscutibile la centralità del pasto in tutte le culture, civiltà, società e religioni del pianeta: il pasto è il più importante rito di coesione e identificazione sociale e religiosa e direi anche personale (no si dice forse “quella ragazza, quel ragazzo, quella persona, quello spettacolo, quel programma, quella canzone, quel libro, ecc. è/non è di mio gusto”?). Inoltre, come detto sopra, la società occidentale fa dell’oralità un suo strumento strategico, per far regredire e perdere le acquisizioni in fatto di spirito critico, dialettico, etico, morale e politico, per rendere piccoli, beati, felici e sazi come principini autistici attaccati al capezzolo del consumismo.

Quindi, in questo complessivo panorama di confusione sull’effettiva relazione che intercorre tra una scelta dietetica e l’ON, forse sarebbe meglio ritornare alla semplice formulazione dell’ON come ossessiva preoccupazione per il consumo di cibi sani e indagare il rapporto che intercorre tra la convinzione “io-interno-sano” v/s “altro-esterno-impuro” e la nozione stesso di confine e identità corporea, e tra un incorporamento “sano” e uno “insano”, problematizzare la vulnerabilità, sottigliezza, trasparenza e inconsistenza vissute di questo confine; rivedere meglio l’ipotesi dell’ON come una forma di disturbo ossessivo-compulsivo, di dismorfismo o disturbi ell’alimentazione e procedere cautamente, se non proprio escludere a priori le convinzioni etiche e religiose quali componenti eziologiche del disturbo, a rischio di offrire un nuovo e pericoloso strumento di repressione, stigma ed esclusione alla massa stessa.

1Bratman, S. (1997). Health food junkie. Yoga Journal, 8: 42-50.

2Pollan, M. Il dilemma dell’onnivoro, Milano, Adelphi, 2013.

3McGregor, R. (2017). Orthorexia. When healthy eating goes bad. London: Nourish.

4American Psychiatric, Association. Diagnostic and statistical manual of mental disorders, fifth edition (DSM-5®). Washington: APA; 2013. Da non confondere l’ortoressia con il disturbo evitante/restrittivo nell’assunzione di cibo definito dal DSM-5 (p. 385 e segg.) dove l’evitamento e la restrizione dell’assunzione di cibo possono essere causati da un’estrema sensibilità alle caratteristiche sensoriali delle qualità di cibo quali l’aspetto, il colore, l’ odore, la consistenza, la temperatura, il gusto (per cui si parla di alimentazione restrittiva, selettiva o schizzinosa) come può darsi nell’autismo; mentre il disturbo evitante/restrittivo nell’assunzione di cibo è un fenomeno tipico dell’infanzia e della prima adolescenza, l’ortoressia che, ricordiamolo, è un disturbo ossessivo per il cibo “sano” e “puro”, è tipica di un’età più matura e adulta (attorno ai 30 anni).

5The Icd-10 Classification of Mental and Behavioural Disorders: Clinical Descriptions and Diagnostic Guidelines. (1992). World Health Organization (WHO).

6Arusoĝlu, G., Kabakçi, E., Köksal, G., & Merdol, T.K. (2008). Orthorexia nervosa and adaptation of ORTO-11 into Turkish. Turk Psikiyatri Derg.,19(3): 283–291.

7Bundros, J., Clifford, D., Silliman, K. e Neyman Morris, M. (2016). Prevalence of Orthorexia Nervosa among college students based on Bratman’s test and associated tendencies. Appetite; 101: 86-94.

8Barnes, M.A. e Caltabiano, M.L. (2017). The interrelationship between Orthorexia Nervosa, perfectionism, body image and attachment style. Eat Weight Disord., 22: 177-84.

9Oberle, C.D., Samaghabadi, R.O. e Hughes, E.M. (2017). Orthorexia Nervosa: assessment and correlates with gender, BMI, and personality. Appetite, 108: 303-10.

10Brytek-Matera, A. (2012). Orthorexia nervosa – an eating disorder, obsessive–compulsive disorder or disturbed eating habit? Archives of Psychiatry and Psychotherapy, 1, pp. 55–60.

11Parra-Fernando, M. A., Manzaneque-Cañadillas, M., Onieva-Zafra, M. D., Fernández-Martínez, E., Fernández-Muñoz, J. J., del Carmen Prado-Laguna, M. e Brytek-Matera, A. (2020). Pathological Preoccupation with Healthy Eating (Orthorexia Nervosa). A Spanish Sample with Vegetarian, Vegan, and Non-Vegetarian Dietary Patterns, Nutrients, 12(12), 3907. Dai risultati della ricerca risulta che il 58.2% di vegani, il 24.1% di vegetariani e il 17.7% di onnivori sarebbero a rischio di ON.

12Brytek-Matera, A., Czepczor-Bernat, K., Jurzak, H., Kornacka, M. e Kołodziejczyk, N. (2019). Strict health-oriented eating patterns (orthorexic eating behaviours) and their connection with a vegetarian and vegan diet. Eat. Weight Disord, 24, 441–452.

13Çiçekoğlu, P., eTunçay, G.Y. A. (2018). Comparison of Eating Attitudes Between Vegans/Vegetarians and Nonvegans/Nonvegetarians in Terms of Orthorexia Nervosa. Arch. Psychiatr. Nurs., 32, 200–205.

14Barthels, F., Meyer, F. e Pietrowsky, R. (2018). Orthorexic and restrained eating behaviour in vegans, vegetarians, and individuals on a diet. Eat. Weight Disord. Stud. Anorex. Bulim. Obes, 23, 159–166.

15Trad.: “non consideriamo come possibile criterio diagnostico di ON il fatto di ridurre la carne per motivi compassionevoli o etici. Infatti, le restrizioni alimentari associate a questa patologia hanno un’altra direzione molto diversa da quella difesa dalla maggior parte delle filosofie in linea con il vegetarianesimo e vanno più nella direzione della purezza alimentare. C’è un dibattito continuo tra diversi ricercatori sui criteri di ON. Il fatto di studiare individui con diverse restrizioni dietetiche può fornirci informazioni molto preziose anche se l’esistenza di una connessione tra ON e diversi tipi di diete non è ancora del tutto stabilita. Recentemente, c’è stato un tentativo di esaminare se esiste una possibile relazione causa-effetto tra prendere decisioni dietetiche specifiche e la comparsa di ON […] ad esempio, nel caso dei vegetariani, dove non possiamo negare l’esistenza di ON ma è importante chiarire che una certa filosofia o l’adozione di una dieta vegana non sono rischi di per sé, per quanto riguarda l’ortoressia patologica; piuttosto, queste abitudini alimentari potrebbero essere inquadrate all’interno di una dimensione salutare dell’ortoressia […] Questo studio ha diversi limiti. In primo luogo, abbiamo utilizzato una classificazione di vegetarianismo e veganismo basata su comportamenti alimentari auto-riportati. Pertanto, i nostri risultati possono essere specifici per vegetariani e vegani auto-dichiarati e non possono essere generalizzati a tutti coloro che seguono una dieta vegetariana o vegana […]