Un’intervista esclusiva alla regista statunitense
Renée George è una regista e compositrice statunitense: nativa del Winsconsin, ha studiato fotografia e cinematografia conseguendo il BFA (Bachelor of Fine Arts) in Media Arts al Minneapolis College of Art and Design. Dopo il Graduate Film Program presso l’University’s Tisch School of the Arts di New York, approda giovanissima ad Hollywood come tecnico delle luci e, dopo venti anni di esperienza, nel 2011 è sul set di The artist, film muto in bianco e nero scritto e diretto da Michel Hazanavicius vincitore di ben cinque Oscar, tre Golden Globe, sette BAFTA e sei César.
È sul set di The Artist che, come lei stessa racconta nella nostra intervista, nasce il suo amore per il cinema muto e la sua convinzione che questo possa di fatto essere il linguaggio universale che, trascendendo le diverse lingue e nazionalità, i confini geografici e culturali, le fedi politiche e religiose, sia in grado di unire l’intero pianeta nella collaborazione e cooperazione per il miglioramento.
Convinzione che Renée tenta di esplicare in un suo progetto concernente sette cortometraggi muti girati in sette paesi diversi narranti sette piccole storie d’amore (7shortfilmsaboutlove).
I primi due, Le Petit Nuage girato a Parigi e Lago di seta girato in Italia sul lago di Como, sono stati presentati come eventi speciali nella rassegna“Muti del XXI secolo” alle Giornate del cinema muto di Pordenone rispettivamente nel 2012 e nel 2013.
Gli altri cinque shortfilms about love sono Like A Sakura (Giappone), Любовь в тумане (Love In The Fog) (Russia), A part of it (USA), حب و طبخ (Love And Cooking) (Marocco) e l’ultimo da girare in Argentina o a Cuba.
Attualmente Renée vive a Los Angeles: oltre alla sua attività registica, compone anche le colonne sonore dei suoi cortometraggi; è appassionata di ortocultura e floricultura e segue uno stile di vita decrescente basato il più possibile sull’autoproduzione.
Tamara ed io abbiamo conosciuto Renée alle Giornate del cinema muto di Pordenone dove, come dicevo sopra, negli anni scorsi sono stati proiettati due dei suoi 7shortfilms about love; la sua simpatia e dolcezza è divenuta in breve amicizia e le Giornate sono ora anche occasione di rivederci di anno in anno.
Quest’anno, prima del suo rientro negli Stati Uniti, abbiamo avuto il piacere di ospitarla a casa nostra, CaVegan, e di passare due piacevoli giornate assieme.
Degustando dei piatti friulani riletti in chiave vegana tra i quali il famoso e famigerato frico vegan di Tamara abbiamo conversato piacevolmente di cinema, alberi, piante e animalismo e le abbiamo rivolto qualche domanda per il nostro blog.
Ciao Renée, grazie di averci concesso questa intervista: è un piacere averti nostra ospite qui a CaVegan.
Quando è nato il tuo interesse per il cinema muto?
Il mio interesse per il cinema muto è iniziato lavorando al film The Artist un film muto che ha anche vinto l’Oscar ed è stato anche molto amato dal pubblico.
Lavoravo già da venti anni a Hollywood come tecnico delle luci: quando arrivai a Hollywood, il mio primo desiderio era, in verità, quello di divenire regista ma ero molto giovane con pochi soldi e sapevo che dovevo lavorare molto e fare molta gavetta per capire l’industria cinematografica, per riuscire a comprenderla al meglio e riuscire a fare quello che ora faccio.
Dopo vent’anni di lavoro all’interno dell’industria cinematografica ho pian piano capito che diventare regista forse non era più la mia meta: non mi hanno mai interessato i film di supereroi o cose del genere.
The Artist mi ha dato una nuova speranza: una troupe francese era venuta a Los Angeles per girare un film muto su una storia d’amore ambientata negli anni Venti a Hollywood nel momento di passaggio tra il cinema muto e quello sonoro; ho pensato allora – se dei francesi sono venuti a Los Angeles e hanno fatto questo film meraviglioso perché non andare io a Parigi a girare un mio film in risposta al loro ?- Così ho provato e questo ha fatto nascere l’amore per il film muto ed ho capito in quel momento perché The Artist è stato così amato dal pubblico e ha vinto l’Oscar. Ho capito che c’era qualcosa che mancava nella cultura popolare e che la gente può amare comunque qualcosa di, in un certo senso, antico come il cinema muto, e può tornare ad esso e amarlo di nuovo. Questo mi ha dato la speranza che ci fosse anche per me la possibilità di fare qualcosa dopo che avevo perso la passione per i film a causa della tendenza molto commerciale di Hollywood; vedere il successo di The Artist ha rinvigorito il mio amore per il cinema in generale e anche per il film muto in quanto genere, perché per me il film muto è tutt’altro dal cinema moderno che è un’esperienza passiva dove ti siedi, guardi, subisci suoni ed effetti e non pensi a niente. Il cinema muto è diverso: ti apre una parte del cervello, la parte creativa rimasta assopita; devi stare attento, devi capire cosa sta succedendo nel film e questo ti coinvolge, ti rapisce e risveglia la tua creatività. Inoltre il cinema muto non è circoscritto o limitato dal linguaggio o da confini ma è semplicemente universale: tutte queste cose le ho capite grazie a The Artist e per questo è stata un’esperienza meravigliosa.
In una società impaziente, disattenta, avida, frenetica e superficiale come la nostra, il cinema muto può ancora avere una sua forza come mezzo espressivo e informativo?
Assolutamente. Il film muto è molto importante perché elimina i confini che ci siamo posti tra di noi: confini di cultura, di linguaggio; tutto ciò sparisce nel cinema muto che è un media globale e questo è molto importante soprattutto oggi perché siamo sull’orlo della fine della società in generale per vari motivi come il cambiamento climatico, le guerre e tutto il resto. La cosa più importante per noi ora è riunirsi, non separarci e io credo che il film muto possa farlo perché in esso non ci sono lingue, non c’è niente che possa dividerci. Il film muto può riunirci ed è per questo che io amo la maggior parte dei film muti.