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Ribbet collage

Perché dobbiamo parlare più di antispecismo e meno di salutismo e ambientalismo.

di Tamara Sandrin

Noto sempre con rammarico che molti animalisti, evitando addirittura di mostrarsi tali (quasi fosse una colpa o una vergogna), tendono a usare gli “argomenti indiretti” sui social network e quando hanno l’occasione di parlare di veganesimo, per attirare, incantare, “accalappiare” l’uditorio non animalista, invece di parlare di etica e antispecismo.
Mi rendo conto che la conoscenza dei principi basilari dell’antispecismo è veramente poco diffusa anche tra i sedicenti animalisti o vegani etici, ma vedo che manca del tutto o quasi la volontà di approfondire, di collaborare e attivarsi, manca la spinta a scegliere e presentare motivazioni scomode e rivoluzionarie.

Ma quali sono questi “argomenti indiretti” e perché, a mio parere, sono deboli?
All’inizio, una o più volte, ci siamo caduti un po’ tutti perché li abbiamo considerati (e qualcuno li considera ancora così) un ponte gettato tra noi e “loro”, dei semini che germoglieranno, un facile appiglio per intavolare un discorso: sono principalmente il salutismo e l’ambientalismo. Si possono utilizzare, ma con moderazione e sempre come ultima battuta.

Qualcuno pensa che “tutto fa brodo” e che anche parlare di salute e ambiente può contribuire alla conversione di qualche “onnivoro”, ma anche se così fosse non è un reale cambiamento di prospettiva e di cultura, ma solo uno spostamento dietetico.
Solo l’etica è fondamento saldo di un progresso antispecista perchè la salute, l’ambiente e la scienza medica sono pur sempre interessi umani.
Invece molti si improvvisano nutrizionisti e chef, cavalcano l’onda e trasformano un imperativo etico-morale in fonte di guadagno.
Quando leggo slogan tipo “passa a veg per la salute” oppure “vegan è salute “ (e viceversa) oppure le dichiarazioni di tanti vegani che affermano di non ammalarsi mai e consigliano la “dieta” vegan per ottenere salute di ferro e vita eterna (o quasi), ecco, mi avvilisco, provo un vero e proprio fastidio e penso ancora una volta agli animali prigionieri del nostro egoismo. Perché è di questo che si tratta.
Se parliamo di salute a un “onnivoro” stiamo parlando al suo interesse personale, al suo compiacimento per se stesso e per il suo corpo “sano e bello”, al suo ego smisurato che non può e non vuole fare spazio all’altro e alle sue esigenze minime: non soffrire e non morire sono esigenze e diritti veramente minimi e fondamentali per ogni essere vivente.
E quando abbiamo finito di parlare di crudismo e depurazione, di combinazioni alimentari e malattie, magari durante un veg-aperitivo, dov’è finito, dov’è rimasto l’animale? Probabilmente nella sua gabbia, relegato in un angolo buio della nostra mente, dimenticato, annullato, cancellato.
Un vegano salutista, esclusivamente salutista, si preoccupa in primo luogo di se stesso, non ha alcun interesse, per esempio, a non comprare capi in pelle, lana e pelliccia, a non visitare zoo e acquari, a non andare al circo o alla corrida. Probabilmente farà sport, magari anche equitazione…
E poi, come in ogni dieta che si rispetti, lo strappo alla regola è sempre concesso, quando non è proprio doveroso! E non appena dovesse insorgere qualche disturbo, il vegano salutista non potrebbe essere pronto a tornare sui suoi passi, alla sua vecchia “dieta”, al suo solito stile di vita, caldeggiato dal medico di famiglia, da parenti e amici?
Perciò, chiedo, quanto giova al movimento animalista/antispecista questa persona? Praticamente niente, a meno che non si riesca ad aprire una breccia nella muraglia di ferro del suo egoismo e installare il veleno del dubbio in modo che possa chiedere a se stesso: “e se io e la mia salute non fossimo al centro del mondo? e se la mia vita e il mio girovita non fossero più importanti della vita di un pulcino?”
Spesso inoltre la dieta vegan oltre che salutare viene presentata e pubblicizzata come buona, varia, colorata e allegra: cose tutte vere, ben s’intenda, ma che secondo me possono fare ben poca presa su un “onnivoro convinto”, anzi credo che ai suoi occhi possano fare piuttosto l’effetto di frasi consolatorie che i vegani pronunciano come un mantra per autoconvincersi.

Anche se l’ecologia sembra ormai essere diventata parte integrante dell’impianto economico capitalista della nostra società, l’attenzione verso l’ambiente è sicuramente una cosa molto importante, ma porre l’accento solo sul fattore ambientale per abbracciare la filosofia e i valori vegan è ancora fuorviante da ciò che dovrebbe essere la base di ogni discorso animalista: la liberazione animale.
Certamente il discorso ambientalista è più declinato verso l’etica di quello salutista però si rischia di cadere nella trappola di parlare dell’ambiente in quanto casa nostra e dei nostri figli, non in quanto casa degli animali, di parlare del destino, cioè del futuro, dell’uomo e non del presente doloroso e senza via di scampo degli animali. Probabilmente un ambientalista sarà più propenso a evitare prodotti in pelle, dato che le concerie sono tra le attività più inquinanti, o a boicottare ditte e prodotti colpevoli di reati ambientali e di sfruttamento di uomini e animali. Però potrà anche parlarci di piccoli allevamenti biologici-familiari, di diminuzione dei consumi di carne e non di eliminazione, di pesca e caccia sostenibili (e “il dilemma dell’onnivoro” sarebbe risolto).
Inoltre a differenza del discorso salutista che, secondo me, ha una presa maggiore sull’uditorio non veg e non animalista, le motivazioni ambientaliste possono cadere nel vuoto e rimanere inascoltate o far presa solo in parte: quanti di noi sono disposti a credere che una persona, un consumatore di programmi televisivi e di piatti pronti, che gira in suv e cambia cellulare come le mutande, che non si scompone minimamente davanti alla lapalissiana realtà della sofferenza animale, si possa interessare alle sorti della terra?

Infine vorrei spendere due parole sull’antivivisezionismo scientifico.
Non sono un medico, né una biologa, né un’esperta di vivisezione, perciò non mi sentirei mai in grado di intavolare un discorso scientifico per condannare la vivisezione, mentre molti animalisti antivivisezionisti – pur non conoscendo l’interlocutore che si trovano difronte – si scoprono improvvisamente esperti dottori e si sprecano in disquisizioni scientifiche per dimostrare l’inutilità della vivisezione.
Quando sento affermare che la vivisezione è una “falsa scienza” e che non porta a veri progressi scientifici, che non è utile, tremo e mi chiedo: e se fosse utile, potremmo giustificarla?
Inoltre dicendo che la vivisezione non è utile si incappa in un tranello specista, perché si intende che non è utile per noi, per l’uomo, per il progresso medico/scientifico umano, perciò si parla sempre al nostro egoismo e attraverso di esso.
Mi chiedo perché non dire semplicemente che la vivisezione è eticamente inaccettabile perché gli animali non sono volontari, perché vengono sottoposti a indicibili torture solo perché gli uomini hanno deciso che sono sacrificabili e utilizzabili per qualsiasi scopo.

Gli “argomenti indiretti” sono lenti perché ci costringono a procrastinare in noi stessi il confronto con gli altri e costringono gli animali ad attendere indefinitivamente che si risveglino le coscienze. Ma gli animali non hanno più tempo e necessitano di una nostra azione efficace, diretta e continua.

Gli “argomenti indiretti” sono pericolosi soprattutto per gli animalisti/antispecisti che perdono di vista la “questione animale”, relegandola, come dicevo, in un angolo: concentrandosi su argomenti umani/umanisti rischiano di farsi trascinare in una corrente massificatoria e non si pongono, invece, in una prospettiva contestatrice e rivoluzionaria universale.
Gli “argomenti indiretti” sono deboli perché facilmente attaccabili: ci sarà sempre qualcuno che controbatterà con una teoria contraria (“la carne è indispensabile”, “l’effetto serra non esiste”, “la sperimentazione animale ha permesso la scoperta di cure molte malattie”, ecc), che porterà esempi, cifre e studi.
Dovremmo parlare di etica e antispecismo, di compassione ed empatia, di giustizia, di individui che soffrono e sono schiavizzati, non elencare numeri, litri d’acqua risparmiati e fallimenti medici.

Come abbiamo visto gli argomenti indiretti, parlando al nostro egoismo, non ci smuovono dall’antropocentrismo e dallo specismo, si basano ed enunciano “grandi verità”, che – come si sa – non sono valutabili moralmente, possono piacerci o meno, ma sono sullo stesso piano di altre, perciò il nostro interlocutore onnivoro/specista può controbattere con le sue verità e arriveremo a un’impasse.
Invece, se poniamo il discorso sul piano etico, resteremo comunque in una posizione di vantaggio perché, parafrasando Todorov, l’ideale antispecista può essere difeso di fronte all’ideale specista non perché sia più vero (un’ideale non può esserlo), ma perché gli è superiore dal punto di vista etico essendo fondato sull’universalità degli esseri viventi.1

 

 

1 “L’ideale umanistico può essere difeso di fronte all’ideale razzista non perché sia più vero (un’ideale non può esserlo), ma perché gli è superiore dal punto di vista etico essendo fondato sull’universalità del genere umano.” Tzvetan Todorov, Noi e gli altri, Torino Einaudi, 1991